Profilo biografico di fr. Daniele
Michele Natale nacque pochi mesi dopo la fine della "grande guerra", l'11 marzo 1919, a San Giovanni Rotondo, che all'epoca era un piccolo e sconosciuto centro del Gargano. I suoi genitori, Bernardino Natale e Angelamaria De Bonis, erano entrambi coltivatori e pastori. Così anche a lui, quarto di sette figli, capitava di dedicare più tempo alle pecore da portare al pascolo che ai libri. Ma lo faceva volentieri.
Il suo volto era sempre sorridente. La sua giovialità conquistò anche la famiglia Napoletano-Giuliani, presso la quale lavorava come pastorello per arrotondare le entrate in casa, dove c'erano tante bocche da sfamare. Per la coppia dei datori di lavoro, che era senza prole, il ragazzino era diventato come un figlio. Proprio in questa masseria, situata sulla via per Cagnano Varano, il piccolo Michele Natale, ebbe il primo segnale di una chiamata a una vita diversa: un fascio di luce misteriosa, che proveniva da San Giovanni Rotondo, si posò su di lui e su un altro bambino con cui governava il gregge. A 14 anni arrivò la vocazione. In un modo speciale.
Nella notte fra il 12 e il 13 maggio sentì la voce di Gesù che lo invitava a seguirlo nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Certamente non fu uno scherzo della suggestione, giacché Michelino non aveva mai preso in considerazione questa eventualità, tanto che osò replicare: «Ma come? Devo lasciare mamma?». Quella "voce" rispose: «Sì. Ma io ti do la mia Mamma come Mamma tua, che è anche Mamma di tua madre. A questa Mamma potrai chiedere qualsiasi cosa».
A una chiamata del genere non si poteva certo dire di no. Prima di partire per il convento di Vico del Gargano, però, il ragazzo passò da quello del suo paese, per ottenere la benedizione del superiore. Era il 4 giugno 1933, festa della Pentecoste. Prima di partecipare alla Messa, in sacrestia, trovò una sorpresa: c'era Padre Pio. Michelino gli baciò la mano e chiese una benedizione speciale. Il santo Frate pose la sua mano piagata sulla testa del fanciullo, lo benedisse e aggiunse: «Auguri, figlio mio». Un anno dopo fu trasferito a Foggia, nel convento di Sant'Anna, con gli incarichi di sacrista e portinaio. All'epoca quella era la sede della Curia Provinciale dei Frati Cappuccini. Il ministro provinciale, padre Bernardo d'Alpicella, un giorno volle verificare le capacità del postulante, visto che, quando era in famiglia, non era riuscito ad andare oltre la terza elementare. Gli diede da leggere una biografia di san Corrado da Parzham, appena canonizzato da Papa Pio XI. Il quindicenne la "divorò" tutta d'un fiato e si presentò da padre Bernardo per essere interrogato. Questi rimase stupito, perché il ragazzo aveva imparato il libro quasi a memoria. Così lo invitò a tenersi pronto per entrare in seminario, appena si fosse liberato un posto. La risposta di Michelino stupì ancora di più il Ministro Provinciale: «No, padre. Voglio rimanere semplice fratello laico! Sono entrato in convento per farmi santo e ho appreso dalla vita di san Corrado che non è affatto necessario diventare sacerdote per arrivare ad essere santo». Il 25 marzo 1935 cominciò il noviziato a Morcone e Michele prese il nome di fr. Daniele. Il 2 aprile dell'anno seguente si consacrò temporaneamente al Signore, seguendo i consigli evangelici di san Francesco, e confermò definitivamente questa scelta il 12 maggio 1940. L'anno precedente i superiori gli avevano concesso di trascorrere Natale e il primo dell'anno in famiglia. In quel breve periodo ebbe l'occasione di confessarsi da Padre Pio che, dopo l'assoluzione, gli disse: «Sappi che da oggi hai un padre». Fra Daniele replicò: «Padre, io il padre ce l'ho...». Il Cappuccino stigmatizzato si spiegò meglio: «Ma che hai capito? Io intendo il padre spirituale».
Subito dopo la professione perpetua il giovane frate fu destinato nuovamente a Sant'Anna con gli incarichi di questuante e cuoco. Visse, dunque, a Foggia la tremenda esperienza dei bombardamenti della città del 1943. Fu, per lui, l'occasione per esprimere tutta la sua generosa propensione alla carità. Non si risparmiò nel soccorrere i feriti, seppellire i morti e riuscì anche a mettere in salvo i paramenti e gli oggetti sacri del convento. Negli stessi anni fr. Daniele conobbe e frequentò assiduamente Genoveffa De Troia, che gli fu maestra nella preghiera, ma anche nell'accettazione della sofferenza, da offrire al Signore. A partire dal 1952, infatti, fr. Daniele trascorse i suoi giorni fra i conventi a cui veniva destinato dai suoi superiori e i vari ospedali in cui una serie di malattie lo costringevano a ricoverarsi. Dopo la morte di Padre Pio, il suo figlio spirituale si dedicò completamente ai Gruppi di Preghiera, in Italia e all'estero. Nonostante il suo stato laicale, parroci e vescovi gli consentivano di tenere conferenze e, ogni volta, chiese e sale erano insufficienti a contenere quanti volevano ascoltare le sue parole. Lui, però, non si stupiva. Ricordava bene, infatti, ciò che gli aveva detto il suo santo Confratello: «Dove stati tu, starò anch'io; dove vai tu, verrò anch'io». Il 6 luglio 1994, all'età di 76 anni, fra Daniele termina il suo cammino terreno, pianto da tutti coloro che lo conoscevano e per i quali era diventato un punto di riferimento. Per questo in tanti si sono recati al cimitero di San Giovanni Rotondo, nei 21 anni in cui la sua salma è rimasta tumulata nella cappella di famiglia, per confidargli le loro pene e chiedere la sua intercessione, già tante volte sperimentata quando era in vita.
Il 10 ottobre 2015 è avvenuta la traslazione del corpo del Servo di Dio nella chiesa conventuale di Santa Maria delle Grazie, dove è stato tumulato in un loculo appositamente scavato nel pavimento, nell'area dell'ex battistero, divenuta luogo di preghiera e di devozione.